Auspichiamo una sanità pubblica a modello persona.

Sanità e COVI19: il modello Lombardia

Premessa:

Perché in questo articolo parliamo di regione Lombardia? Cosa ha a che fare con il nostro mandato politico riferito al solo territorio di Zogno?

Le potenzialità della sanità pubblica dei cittadini di Zogno dipendono quasi esclusivamente da scelte fatte dalla regione Lombardia. In questa emergenza COVID è corretto capire come siamo e saremo curati, non solo se colpiti da questa pandemia, ma anche come saremo tutelati in futuro per ogni tipo di problema sanitario.

In questo articolo abbiamo semplicemente raccolto una storia, con la speranza che dagli errori si possa avere un servizio più appropriato e attento alla singola persona.

Sono giorni impegnativi, questi. Il Governo nazionale sta preparando il famoso ‘decreto aprile’, mentre le Camere stanno approvando il ‘Cura Italia’. Le Regioni stanno lavorando con la curva di contagio finalmente in discesa, anche se non bisogna pensare che sia tutto passato e agire con leggerezza.

Parlando di Regioni, questi sono anche i giorni nei quali due ex governatori della Lombardia si sono confrontati sui mezzi stampa, con visioni della gestione lombarda completamente differenti tra loro.

Da un lato Bruno Tabacci, negli anni della Prima Repubblica, che afferma:”Con la DC la sanità era pubblica, le cose iniziarono a cambiare radicalmente con Formigoni e con Maroni, addirittura si equipararono sanità pubblica e sanità privata”.

La risposta di Formigoni stesso non tarda a farsi sentire:”I posti letto pubblici li ha tagliati Renzi”.

Siamo già passati alla Fase 2 dell’emergenza: lo scaricabarile.

Sta di fatto che il sistema sanitario lombardo, provato in questi anni da scelte poco ortodosse, ha rivelato tutta la sua fragilità a dispetto degli elogi dei suoi governatori.

Ma per capire come siamo arrivati qui, è necessario fare passi indietro e guardare come, nel tempo, il susseguirsi di tagli ha portato a questa evidente falla.

Nel 1981 potevamo contare 530.000 posti letto, che oggi sono circa 215.000, i servizi socio-sanitari territoriali sono stati smantellati e quelli che resistono sono poveri di medici e infermieri, figure che stiamo perdendo comunque di anno in anno (da noi, un esempio di tutto questo è l’ospedale civile di San Giovanni Bianco).

  A metà anni ’80 c’erano 642 USL (unità sanitarie locali) che amministravano anche grandi ospedali ma nel 2017, dopo le ultime riforme regionali, sono scese a 97 mentre si costituivano 99 aziende ospedaliere autonome come grandi ospedali, policlinici e IRCCS e si allargava sempre più il ‘mercato’ del privato accreditato, di cui la Lombardia è l’emblema. Questo impoverimento del sistema sanitario ha avuto ripercussioni anche sullo studio delle malattie infettive, basti pensare che nella nostra regione l’unica struttura impegnata in questo tipo di ricerca è l’ospedale Sacco di Milano.

I medici di famiglia e del lavoro sono il primo filtro tra la sanità e le persone, eppure la loro figura si sta estinguendo.

E nel 2020?

Nel 2020 è arrivata una pandemia. Le prime avvisaglie che qualcosa non andasse si ebbero già tra fine dicembre e inizio gennaio, con un aumento anomalo dei casi di polmonite. Medici che avvisavano la Regione che si era davanti ad un problema, ma non venivano considerati.

Ecco quindi che quando la pressione negli ospedali diventa troppo alta, si decide di attenuarla, commettendo un errore clamoroso: individuare RSA nelle quali collocare pazienti Covid positivi a bassa gravità. Già, perché nel frattempo l’evidenza dei fatti ha fatto capire chiaramente che per le mani si aveva un virus pericoloso, identificato come Covid-19 a Wuhan, in Cina, e codificato all’istituto Spallanzani di Roma come un ceppo nuovo, proveniente dalla Germania.

Dal palazzo di Regione Lombardia l’8 marzo è uscita una delibera con la quale le ATS sono state obbligate ad individuare RSA in cui collocare questi pazienti. Il criterio della scelta si basava su strutture con padiglioni separati, cosa del tutto inutile se consideriamo che il personale sanitario era sprovvisto di mascherine e guanti, tute monouso e visiere e che si spostava da un padiglione all’altro in libertà.

Come riportato dal giornale Repubblica “Di sicuro la sorveglianza spettava alle ATS. Ma la Baggina, forte della sua autonomia avrebbe comunque potuto imporre misure decise. Anche se un documento firmato da Calicchio sostiene che la gestione è stata condotta insieme alla task force della Regione.”

E la nostra RSA di Zogno?

Sappiamo poco o quasi nulla, solo che il 1 marzo in un incontro, da noi richiesto con i capigruppo, ci viene comunicato che era tutto sotto controllo. La situazione odierna non ci sembra così rosea.

E le famose zone rosse Nembro e Alzano, e forse anche Zogno, perché sono finite in una nuvola di fumo? Non abbiamo certezze, ma frasi, scappate qua e là, danno una possibile pressione del mondo imprenditoriale su decisioni regionali.

Andando ancora più a fondo, ci chiediamo come mai ai medici di famiglia non siano stati forniti gli adeguati dispositivi di protezione individuale. Già, perché i medici in questione sono stati i primi a capire la gravità della situazione. Con chiamate giornaliere tra le 150 e le 200, visite a domicilio e pazienti cui fare il ricovero, forse erano i primi a meritare ascolto. Ne abbiamo persi molti, e molti di loro hanno perso un familiare. Bisogna tenerne conto. In merito l’Ordine dei Medici di Bergamo ha promosso un’indagine tra i professionisti di medicina generale e ha stimato che le persone non ospedalizzate e prive di tampone, ma sicuramente positive al Covid-19, siano circa 64.000. Tutte a casa. Alcune sintomatiche e altre no. I medici di base, in molti casi, hanno dovuto effettuare interventi senza DPI e privi di protocolli di cura. Qualcuno dovrà chiarire.

Chiarire che il piano nazionale contro le pandemie c’è dal 2007 e in Lombardia è riconosciuto dal 2009 ma non è mai stato applicato, e lo dice Paola Ferrari, l’avvocato che, per conto della FIMMG -fondazione italiana medici medicina generale-, ha redatto una diffida nei confronti della Regione e trasmessa alle procure lombarde per conoscenza. (vedi anche articolo MilanoSud)

La drammatica situazione era già stata comunicata all’assessorato di competenza, tramite una lettera aperta, da parte dell’Ordine provinciale dei Medici, che si sono sentiti rispondere che alle lamentele è preferibile la collaborazione.

Attualmente i morti conclamati di Covid-19 sono circa 14.000, di cui la Lombardia da sola ne conta 8.000.

Alla luce di quanto detto, e sono tutti dati verificabili, possiamo affermare che se il privato (che offre tamponi da 120€ in su, sottraendo al pubblico materiale e personale) non fosse stato promosso al posto della sanità pubblica (che fa tamponi solo agli ospedalizzati), la risposta del sistema sanitario sarebbe stata sicuramente diversa. La regione Lombardia avrebbe anche dovuto stoccare nei magazzini i materiali sanitari, come indicato dal Governo nazionale, lo stesso giorno della dichiarazione dello stato di emergenza. I dati ufficiali della Protezione civile, attestano che alla Lombardia sono stati dati 13.500.000 dispositivi sanitari, dispositivi di protezione e la maggior parte dei 10.000.000 di mascherine, di cui ha bisogno. Insomma, cifre ben lontane dalle briciole dichiarate dagli organismi regionali.

Come mai allora ai medici di base e al personale delle RSA non sono stati forniti? Dove sono le quantità destinate a loro?

Per questa domanda, e anche per le altre sopra citate, la Guardia di Finanza ha aperto fascicoli importanti presentandosi a Palazzo Pirelli, sede della Regione, per requisire documenti e dichiarazioni.

In questa emergenza sarebbe stato meglio, e molto più umano, cercare di salvare vite e non fare politica.