Casa della comunità di Zogno

Entro il 2026 verrà realizzata la casa della comunità di Zogno con un investimento, fondi PNRR, di € 1.500.000.

Ma cos’è la casa della comunità?

E a che punto sono le 216 case della comunità che dovranno essere realizzate entro il 2016 in Lombardia?

 

Cos'è la Casa della Cominità

Riportiamo la definizione di Casa della Comunità così come la troviamo nel Decreto sopra citato:

La Casa della Comunità è il luogo fisico, di prossimità e di facile individuazione al quale l’assistito può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria. La CdC è una struttura facilmente riconoscibile e raggiungibile dalla popolazione di riferimento, per l’accesso, l’accoglienza e l’orientamento dell’assistito. 

La Casa della Comunità prevede un modello di intervento multidisciplinare e al suo interno si troveranno équipe multiprofessionali composte da Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta, Specialisti Ambulatoriali, Infermieri e Psicologi.

A che punto sono le Case della Comunità in Lombardia

Articolo da TredSanità

La fotografia che emerge dall’indagine in corso, coordinata dal Centro Studi di Politica e Programmazione Socio-Sanitaria dell’Istituto Mario Negri, è che le Case di Comunità già avviate presentano un panorama eterogeneo per tipologie organizzative, quantità e qualità dei servizi offerti

Secondo le indicazioni della missione 6 del PNRR, Regione Lombardia ha programmato di aprire 216 Case di Comunità entro il 2026. Ad oggi sul territorio ne risultano aperte 85. Come stanno funzionando a livello organizzativo le strutture? Il personale sociosanitario coinvolto è presente in numero sufficiente a far fronte alle richieste del pubblico? L’utenza ha notato una differenza nel servizio sociosanitario offerto rispetto al passato? Queste sono le domande che si sono posti gli esperti dell’Istituto Mario Negri di Milano.

L’analisi, coordinata dal Centro Studi di Politica e Programmazione Socio-Sanitaria dell’Istituto, è stata condotta da un gruppo di ricercatori appositamente formati, coadiuvati da professionisti che, a vario titolo, hanno scelto volontariamente di unirsi al team.

A partire da luglio 2022, i ricercatori si sono finora recati personalmente in 47 Case di Comunità sulle 85 già aperte e hanno incontrato i coordinatori e il personale presente nelle Case di Comunità lombarde. Sono state raccolte e schedate informazioni sugli aspetti organizzativi, sul funzionamento e sullo stato di avanzamento dei lavori delle strutture non ancora inaugurate. 

L’analisi dei dati è stata presentata in un workshop organizzato dall’Istituto Mario Negri di Milano, che ha divulgato i primi risultati davanti a 250 persone. I dati parlano di un cambiamento che per il momento sembra riflettersi più nello spirito di chi lavora nelle strutture, che in una vera e propria implementazione delle risorse coinvolte.

L’infermiere di comunità, figura portante dei nuovi servizi

L’indagine del Mario Negri è attualmente in corso. I risultati emersi e le evidenze riscontrate verranno periodicamente aggiornati e divulgati dal gruppo di ricercatori dell’Istituto che ha annunciato l’intenzione di tenere monitorata la situazione della sanità lombarda attraverso una ricerca sul campo che proseguirà in tempo reale rispetto all’attuazione di quanto prescritto dal PNRR.

Entusiasmo e abnegazione tra gli operatori coinvolti: un buon segnale per il futuro

L’aspetto più interessante emerso è sicuramente l’entusiasmo e l’abnegazione degli operatori attualmente coinvolti nell’organizzazione di queste nuove strutture, un elemento che farebbe ben sperare per il futuro, se anche la politica e gli amministratori sapranno poi supportare questa riforma che punta a ricostruire il sistema dell’assistenza territoriale. Un settore che, secondo l’Istituto Negri, nel corso degli ultimi vent’anni in Lombardia è stata fortemente penalizzato e trascurato.

Angelo Barbato

“L’innovazione principale delle Case di Comunità riguarda la dotazione di figure di nuova introduzione come gli infermieri di famiglia e comunità – spiega Angelo Barbato del Centro Studi di Politica e Programmazione Socio-Sanitaria –. Al momento queste figure coordinano ed erogano la maggior parte delle attività, oltre ad interfacciarsi con gli utenti, mentre ancora molto limitata e frammentata è la presenza dei medici di medicina generale e carente il collegamento coi servizi sociali del territorio e con le associazioni del terzo settore”.

Pur riconoscendo di essere di fronte ad un processo sviluppato con tempi di realizzazione molto stretti e che al momento sembra di difficile attuazione entro le scadenze prescritte, l’impressione degli esperti è che tutto sia stato avviato senza una programmazione specifica e dettagliata, contando soprattutto sullo spirito organizzativo e propositivo del personale, che però non sembra mancare.

Al momento tutto sembra essere nelle mani degli infermieri di comunità che sono presenti massicciamente nelle strutture: li abbiamo trovati al lavoro in 40 su 47 strutture valutate – prosegue Barbato –. L’impressione generale è che siano loro a dirigere tutto e che si siano dati l’obiettivo di essere l’asse portante di questo servizio. Sono loro, per esempio, a dirigere il punto di accesso e a indirizzare i cittadini rispetto ai servizi offerti”.

L’assenza dei medici di base

I grandi assenti nelle nuove Case di Comunità sono sicuramente i medici di base. Su 47 strutture visitate, solo 16 di queste presentavano già all’interno gli ambulatori di medicina generale. “Con qualche rara eccezione, abbiamo rilevato che nella maggior parte dei casi, i medici di base non erano integrati nella struttura e continuavano ad utilizzare le proprie modalità lavorative – spiega Barbato –. L’interscambio con la struttura e con gli altri colleghi presenti risulta essere limitato e la presenza è dovuta più che altro ad un trasferimento dello studio all’interno del poliambulatorio”.

Vista la carenza di medici di medicina generale e la necessità di ottimizzare i servizi, le Case di Comunità sono nate anche con lo scopo di favorire l’interscambio di pazienti e l’estensione oraria dei servizi. Al momento però solo in sei case di Comunità, sulle 47 valutate dall’indagine, i medici lavorano in team, rendendosi accessibili anche ai pazienti dei propri colleghi quando gli stessi non sono presenti in ambulatorio. Questo nonostante la delibera di Regione Lombardia sulle Case di Comunità indicasse questo presupposto di collaborazione come importante per un miglioramento dei servizi.

Il problema – aggiunge Barbato – sembra dipendere dal fatto che i pochi medici che si sono spostati all’interno delle strutture non si sono trasferiti seguendo una logica di programmazione collettiva, ma agiscono ancora in autonomia”.

Presadiretta

La scommessa delle case di comunità

St 2022/2310 min
Il PNRR vorrebbe rivoluzionare la Medicina del Territorio. 7 miliardi sono stati destinati per creare le Case della Comunità e portare la medicina pubblica più vicino alla gente. Ma in Italia mancano all’appello migliaia di medici di base e solo quest’anno ne vanno in pensione quasi 4000, come faranno allora a funzionare le nuove strutture territoriali?

La mancanza di una programmazione strutturale

Le Case di Comunità aperte attualmente in Lombardia, nonostante la volontà di unificare e semplificare dichiarata sulla carta, rappresentano ancora un panorama eterogeneo per tipologie organizzative, quantità e qualità dei servizi offerti.

L’analisi coordinata dal Centro Studi di Politica e Programmazione Socio-Sanitaria del Mario Negri ha quindi cercato di operare una valutazione comparativa dei modelli organizzativi attualmente implementati nelle Case di Comunità già aperte nella Regione, rispetto agli standard previsti dalle normative nazionali e regionali in termini di struttura, servizi e personale socio-sanitario coinvolto.

Alessandro Nobili

“La fotografia che emerge – spiega Alessandro Nobili, del Centro Studi di Politica e Programmazione Socio-Sanitaria – è che le attuali Case di Comunità già avviate presentano un panorama eterogeneo per tipologie organizzative, quantità e qualità dei servizi offerti. Ad oggi, poche rispondono completamente agli standard nazionali e regionali, anche se la situazione va considerata in continua e progressiva evoluzione, anche per rispettare le scadenze imposte dalla Mission 6 del PNRR”.

“Quello che è emerso dall’analisi dei primi dati – continua Barbato – è che in genere sono state collocate in strutture già esistenti, soprattutto ex-poliambulatori, e sono il frutto di una riorganizzazione di servizi già disponibili piuttosto che della creazione e implementazione di nuovi modelli organizzativi indirizzati all’approccio interdisciplinare e al lavoro in equipe multiprofessionali”.

Il monitoraggio del Centro Studi del Mario Negri prosegue. Partito da un gruppo di sei ricercatori, oggi può contare sull’aiuto di una squadra multidisciplinare allargata e composta da medici, infermieri, psicologi, operatori sociali ed esponenti di cittadinanza attiva.

La risposta delle strutture è stata positiva – ha concluso Barbato –, quasi tutte hanno aderito all’indagine e si sono mostrate propositive nel rilasciare informazioni. Viceversa, Regione Lombardia ha smesso di fornire dati aggiornati sull’avanzamento del Piano. Al momento, infatti, non risulta un elenco completo delle strutture e non tutte le ASST sono in grado di fornire informazioni adeguate”.

Il Centro Studi proseguirà quindi nell’analisi di tutte e 85 le strutture sorte sul territorio lombardo, monitorando le nuove che apriranno. Le delibere prevedono l’edificazione di nuove strutture ma al momento tutte le 85 Case di Comunità sono nate in strutture preesistenti, quasi sempre in poliambulatori.

Sembra difficile che tutte le 216 Case di Comunità previste entro il 2026 possano essere aperte nei tempi indicati dal calendario del PNRR

Al momento sembra molto difficile che tutte le 216 Case di Comunità previste entro il 2026 possano essere aperte nei tempi indicati dal calendario del PNRR. Ma prima ancora della corsa contro il tempo, la vera sfida sarà quella di innovare dall’interno i servizi offerti e le loro modalità d’accesso che oggi sono ancora prevalentemente regolate in modo misto attraverso il numero verde regionale o i CUP delle ASST. L’accesso diretto è possibile in pochi casi.

La nostra analisi prevede anche un’indagine su quella che sarà la percezione degli utenti rispetto al servizio – conclude Barbato –. Solo in otto Case di Comunità sulle 47 già valutate al momento sono presenti associazioni di cittadini o enti del terzo settore. Siamo ancora lontani quindi dal modello di partecipazione auspicato, anche se ci sembra che i cittadini inizino ad avere la percezione delle potenzialità ancora inespresse di questa riorganizzazione”.