Scontro Regione Lombardia e ordine dei medici.

Per anni la Lombardia è stata il punto di riferimento nazionale in ambito economico e sanitario.

Anni nei quali nessuna emergenza di pubblica sanità si affacciava all’orizzonte rivelando, come invece sta succedendo ora, che il gigante bello e ricco in realtà ha le gambe di argilla.

Il susseguirsi dapprima della guida Formigoni e poi di quella Maroni ha depauperato moltissimo il pubblico a favore del privato, e si tratta di tagli gravosi ma talmente diluiti nel tempo che i più nemmeno li hanno avvertiti, o li hanno avvertiti poco.

Purtroppo però ogni incanto ha una fine -quando la gente apre gli occhi- ed ecco che con la Giunta Fontana accade l’impensabile: una pandemia.

Il covid-19 ha quindi aperto il vaso di Pandora della sanità lombarda e no, non è stata la Speranza l’ultima ad uscire.

Partiamo dall’inizio…

Qualche mese prima di marzo, medici e dipendenti del comparto sanitario di alcune RSA ed ospedali, denunciano morti sospetti da polmonite. In particolare, Angelo Giupponi, direttore dell’Agenzia regionale emergenza urgenza di Bergamo, ha dichiarato di aver inviato il 22 febbraio un’email all’assessorato al welfare della regione Lombardia, diretto da Giulio Gallera, in cui sottolineava “l’urgente necessità di allestire degli ospedali esclusivamente riservati a ricoverati per Covid-19, così da evitare promiscuità con altri pazienti e quindi diffusione del virus nelle strutture ospedaliere”e di aver ricevuto questa risposta: “Non dormiamo da tre giorni, non abbiamo voglia di leggere le tue cazzate”.

Dunque i dirigenti regionali hanno sottovalutato la situazione, come molti altri che non ricoprivano un ruolo tale per cui era possibile “toccarla con mano”, ma magari una risposta più istituzionale sarebbe stata ben accetta.

Dopo l’evidenza del dilagante focolaio della cintura tra Nembro ed Alzano, la regione Lombardia decide di muoversi e lo fa facendo un bel niente.

Anzi, era l’8 marzo quando Attilio Fontana firmava la delibera XI-2906, con la quale obbligava le RSA a prendersi carico dei pazienti covid-19 positivi lievi per alleggerire la pressione sugli ospedali e incaricando le ATS di individuare strutture con padiglioni separati adatti ad accogliere i pazienti.

Ma come prendersi cura di questi malati in luoghi dove fragili e pluripatologici anziani sono in degenza? Proprio loro che sono le persone da tutelare di più in tale circostanza? E, soprattutto, come pretenderlo considerando che il personale veniva spostato sugli ospedali per garantire un’adeguata turnazione a medici e infermieri dei reparti intensivi e sub intensivi?

Gli anziani erano quindi numeri sacrificabili. Numeri, non persone, perché tutt’oggi non si conosce la cifra esatta dei deceduti per Coronavirus poiche i tamponi vengono eseguiti solo agli ospedalizzati.

E allora perché la Regione Lombardia, nelle persone di Attilio Fontana e Giulio Gallera, continua ad affermare che è stato fatto tutto il possibile?

Un tampone è un cotton fioc immerso in un liquido reagente ed il risultato si conosce nel giro di qualche ora. Perché non farlo a tutti, quindi? Semplice, perché erano troppi e numeri tanto alti avrebbero destabilizzato un ordine già assente da tempo.

E’ così che l’ordine dei Medici chirurghi e odontoiatri lombardi ha scritto un durissimo atto d’accusa ai vertici regionali, di cui riportiamo il testo:

Ill.mo Avv. Gallera,
la Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia, riunita in data 05/04/2020, ha preso in esame la situazione relativa all’epidemia da COVID19 in corso.
Non è questo il momento dell’analisi delle responsabilità, ma la presa d’atto degli errori occorsi nella prima fase dell’epidemia può risultare utile alle autorità competenti per un aggiustamento dell’impostazione strategica, essenziale per affrontare le prossime e impegnative fasi.

Ricordiamo in generale come, a fronte di un ottimo intervento sul potenziamento delle terapie intensive e semi intensive, per altro in larga misura reso possibile dall’impegno e dal sacrificio dei medici e degli altri professionisti sanitari, sia risultata evidente l’assenza di strategie relative alla gestione del territorio.

Ricordiamo, a titolo di esempio non esaustivo:
1) La mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia, legata all’ esecuzione di tamponi solo ai pazienti ricoverati e alla diagnosi di morte attribuita solo ai deceduti in ospedale. I dati sono sempre stati presentati come “numero degli infetti” e come “numero dei deceduti” e la mortalità calcolata è quella relativa ai pazienti ricoverati, mentre il mondo si chiede le ragioni dell’alta mortalità registrata in Italia, senza rendersi conto che si tratta solo dell’errata impostazione della raccolta dati, che sottostima enormemente il numero dei malati e discretamente il numero dei deceduti.
2) L’incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio
3) La gestione confusa della realtà delle RSA e dei centri diurni per anziani, che ha prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite umane (nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6000 ospiti in un mese).
4) La mancata fornitura di protezioni individuali ai medici del territorio (MMG, PLS, CA e medici delle RSA) e al restante personale sanitario. Questo ha determinato la morte di numerosi colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile e involontaria diffusione del contagio, specie nelle prime fasi dell’epidemia.
5) La pressoché totale assenza delle attività di igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti, ecc…)
6) La mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari del territorio e in alcune realtà delle strutture ospedaliere pubbliche e private, con ulteriore rischio di diffusione del contagio.
7) Il mancato governo del territorio ha determinato la saturazione dei posti letto ospedalieri con la necessità di trattenere sul territorio pazienti che, in altre circostanze, avrebbero dovuto essere messi in sicurezza mediante ricovero.

La situazione disastrosa in cui si è venuta a trovare la nostra Regione, anche rispetto a realtà regionali vicine, può essere in larga parte attribuita all’interpretazione della situazione solo nel senso di un’emergenza intensivologica, quando in realtà si trattava di un’emergenza di sanità pubblica. La sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra Regione.

La situazione al momento risulta difficile da recuperare, ma si vogliono riportare di seguito alcune indicazioni, che, a detta della scrivente Federazione, potrebbero, se attuate, contribuire alla limitazione dei danni, specie nel momento di una ripresa graduale delle attività, prevedibile nel medio-lungo termine.

Per quanto riguarda gli operatori sanitari la proposta è di sottoporre tutti a test rapido immunologico, una volta ufficialmente validato, e, in caso di riscontro di presenza anticorpale (IgG e/o IgM), sottoporre il soggetto a tampone diagnostico. In caso di positività in assenza di sintomi potrebbe essere da valutare la possibilità, in casi estremi con l’attribuzione di specifiche responsabilità e procedure, di un’attività solo in ambiente COVID, sempre con protezioni individuali adeguate. Il test immunologico andrebbe ripetuto con periodicità da definire negli operatori sanitari risultati negativi.

Per quanto riguarda le attività non sanitarie sembra raccomandabile un’estesa effettuazione di test rapidi immunologici per discriminare i soggetti che non hanno avuto contatto con il virus, soggetti che si possono riavviare al lavoro. Per i soggetti nei quali si rileva la presenza di immunoglobuline (IgG o IgM) sembra indicata l’esecuzione del tampone diagnostico. In tal senso si raccomanda di potenziare al massimo tale attività diagnostica e di procedere prima ad indagare i soggetti che risultano urgente riammettere al lavoro, in quanto addetti ad attività ritenute di prioritario interesse, in funzione della disponibilità di tamponi.

La ripresa del lavoro dovrebbe essere subordinata all’effettuazione del test immunologico rapido di screening, non risultando in letteratura alcun termine temporale valido per la quarantena post malattia, anche se decorsa in forma paucisintomatica.
E’ evidente come tale procedura comporti un rilevante impiego di risorse, soprattutto umane, ed è altresì evidente come la stessa, al momento, sia l’unica atta a consentire la ripresa dell’attività lavorativa in relativa sicurezza.A tale scopo Regione Lombardia dovrà mettere in campo tutte le risorse umane ed economiche disponibili.

Naturalmente quanto sopra dovrà essere accompagnato dall’uso costante, per tutta la popolazione e in particolare nei luoghi di lavoro, di idonei comportamenti e protezioni.

La ripresa potrà quindi essere solo graduale, prudente e con tempi dettati dalla necessità di mettere in campo le risorse sopracitate. È superfluo segnalare come qualsiasi imprudenza potrebbe determinare un disastro di proporzioni difficili da immaginare e come le misure di isolamento sociale siano da potenziare e applicare con assoluto rigore.

Da ultimo, la FROMCeO lombarda ha preso in considerazione la questione, sollevata da molti colleghi, della mancanza di protocolli di terapia sul territorio. Il problema è stato in gran parte determinato anche dalla esigenza di trattare a domicilio pazienti che ordinariamente sarebbero stati inviati in ospedale, ma che non hanno potuto essere accolti per saturazione dei posti letto. FROMCeO raccomanda ai colleghi di non affidarsi a protocolli estemporanei non validati e ad attenersi alle indicazioni di AIFA e di Regione, utilizzando la massima cautela.

Nell’esprimere le considerazioni di cui sopra, FROMCeO ritiene di svolgere le proprie funzioni di organo sussidiario dello Stato ed esprime disponibilità ad un confronto costante con le Istituzioni preposte alla gestione dell’emergenza. Spiace rimarcare come tale collaborazione, più volte offerta, non sia ad oggi stata presa in considerazione.

Cordiali saluti.

I presidenti degli ordini provinciali della Regione Lombardia (FROMCeO)
Dr. Spata Gianluigi – Como (Presidente FROMCeO)
Dr. Ravizza Pierfranco – Lecco (Vicepresidente FROMCeO)
Dr. Marinoni Guido – Bergamo
Dr. Di Stefano Ottavio – Brescia
Dr. Lima Gianfranco – Cremona
Dr. Vajani Massimo – Lodi
Dr. Bernardelli Stefano – Mantova
Dr. Rossi Roberto Carlo – Milano
Dr. Teruzzi Carlo Maria – Monza Brianza
Dr. Lisi Claudio – Pavia
Dr. Innocenti Alessandro – Sondrio
Ordine Provinciale dei Medici Chirurgi e degli Odontoiatri di Varese

Per i presidenti
Dr. Gianluigi Spata
Presidente FROMCeO

la risposta di Gallera:

“Mi ha molto stupito, oltre che amareggiato, la nota che abbiamo ricevuto dalla Federazione degli Ordini dei Medici (FROMCeO) della Lombardia che assomiglia più ad un atto politico che ad una reale rappresentazione dei fatti”.
Inizia così la lettera di risposta dell’assessore al Welfare della Regione LombardiaGiulio Gallera, a quella ricevuta, sul coronavirus, dal presidente della Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Gianluigi Spata, di cui riportiamo alcuni passaggi.

Massimo apprezzamento

“Confermo il massimo apprezzamento per tutti gli operatori sanitari lombardi per l’abnegazione e l’umanità con cui stanno affrontando questo terribile momento – scrive Gallera – e confido che si possano abbandonare gli atteggiamenti accusatori”.

Esecuzione dei tamponi

Entrando nel merito delle richieste dei medici l’assessore precisa: “Per quanto riguarda l’esecuzione dei tamponi ai soli pazienti ricoverati, ricordo che nelle fasi iniziali dell’epidemia i tamponi sono stati eseguiti anche ai contatti stretti di casi asintomatici. Successivamente il Ministero della Salute, con circolare del 27 febbraio 2020 ha modificato le linee guida, raccomandando l’effettuazione del test ai soli sintomatici. In ogni caso, è stata sempre tenuta alta l’attenzione sull’isolamento dei soggetti interessati, sia sintomatici, sia contatti stretti di caso”.

Medici di Medicina Generale

“Un’attenzione – continua la missiva – affidata al monitoraggio del Medico di Medicina Generale, il cui ruolo, fondamentale, abbiamo evidenziato con una nota della Direzione Generale Welfare, il 3 marzo”.
“In merito alla ‘incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio’ – si legge ancora – è noto il rigore costantemente professato dalla Regione Lombardia e, in primis, dal presidente Fontana che era stato più volte ingiustamente accusato di aver isolato l’Italia e di aver creato un clima di terrore. Proprio su nostra proposta, il ministro della Salute adottò, d’intesa con il nostro presidente, l’ordinanza del 23 febbraio 2020 che istituiva la ‘zona rossa’ in dieci comuni del basso lodigiano. E in data 3 marzo 2020, su nostra indicazione, il Comitato Tecnico Scientifico nazionale ha proposto al Governo l’istituzione di una zona rossa nei comuni di Alzano e Nembro, proposta che non è stata dal Governo accolta nella sua formulazione originaria.
Tuttavia, in data 8 marzo su forte ed esplicita insistenza della Regione Lombardia, il Governo ha imposto a tutte le persone fisiche di ‘evitare ogni spostamento’ con apposito DPCM”.

Attenzione agli anziani e ai soggetti fragili

“Abbiamo sempre prestato l’attenzione – prosegue la lettera – nei confronti dei soggetti anziani e fragili e delle strutture che li ospitano, fornendo precise indicazioni, sulle quali è stata svolta la vigilanza da parte delle ATS, come ad esempio il divieto di ingresso dei parenti (se non in caso di assoluta necessità e previa verifica delle condizioni di salute).
Inoltre, sono state sempre prescritte idonee misure di isolamento dei pazienti covid positivi, con l’ovvia ed espressa possibilità, per i soggetti gestori, di adottare ogni provvedimento utile ad arginare il contagio, comunicandolo alla ATS di riferimento”.

L’auspicio

“Mi auguro che, d’ora in avanti – conclude Gallera – si possa davvero lavorare insieme e che le accuse gratuite lascino il passo ad una collaborazione costruttiva e propositiva, che è quanto ci si attende da chi rappresenta migliaia di medici ai quali va, ancora una volta, il nostro ‘Grazie!”.

(il testo integrale e originale della lettera non è scaricabile ma si trova sul sito di Regione Lombardia)

Sempre a tema RSA, esempio che spiega molto bene, è la vicenda del Pio Albergo Trivulzio.

La struttura del più importante polo geriatrico italiano –già storicamente famosa- è stata infatti teatro di una gestione scellerata e crudele con pazienti positivi al covid-19 lasciati a morire nei propri letti, con personale obbligato a non indossare dispositivi salvavita come guanti e mascherine “altrimenti si scatena il panico tra i degenti” e un famoso geriatra, il professor Bergamaschini, “invitato” dal direttore Giuseppe Calicchio a stare a casa poiché autorizzava i propri collaboratori a utilizzare i DPI.

Dal Pio Albergo Trivulzio non è ancora giunto, se mai arriverà, il numero effettivo dei deceduti per coronavirus.

Resta il fatto che tale politica infima ha contribuito al dilagare del virus perché ai parenti non fu subito impedito di vedere i propri cari, i sanitari senza ausili hanno fatto la spola tra casa e lavoro con tutto quel che ne consegue.

Perché lasciar morire delle persone in modo tanto crudele? Perché non tutelare i propri dipendenti?

Perché nascondere tutto se tutto è stato portato avanti a norma di legge?

Domande che si è posta anche la Procura di Milano e l’hanno spinta ad aprire un’inchiesta per “gestione sconsiderata dell’emergenza”.

Siamo basiti. E speriamo che questo caso sia a sé stante e non coinvolga anche altre strutture, magari pure vicine a noi.

E la tanto invocata zona rossa?

Dopo il vergognoso scaricabarile, Gallera ammette, smentendo anche il suo stesso Presidente, che c’è una legge –la 883 del 23 dicembre 1978- che garantiva l’autonomia regionale nell’istituzione di una cintura di sicurezza. Curioso, non polemico, che una regione alla cui guida sta un avvocato non fosse a conoscenza di questa “piccolezza legislativa”.

Soprattutto, se davvero è stato fatto il possibile perché la Lega ha proposto un emendamento al DDL 176 per sollevare manager e dirigenti regionali da eventuali inadempienze e responsabilità e non si è invece concentrata sulla salvaguardia del personale sanitario? Insomma mettere al riparo chi ha agito in modo insufficiente sì, chi ha rischiato la vita e fatto sacrifici no.

Ovviamente si tratta di un emendamento prontamente ritirato dopo le polemiche. Ci hanno provato.

E ora?

Ora che il Governo nazionale ha mandato degli ispettori ad accertare le responsabilità aprendo qualche fascicolo, alcuni politici –sempre quelli- urlano che non è il momento di fare sciacallaggio ma di piangere i morti. Ecco, fare giustizia e fare sciacallaggio non sono la stessa cosa e, del resto, se si fosse agito in linea col buon senso civico che dovrebbe prevalere, nemmeno ci sarebbero così tanti morti da piangere. Il momento di sapere la verità è proprio questo.